TEEN COACHING

TEEN COACHING

TEEN COACHING

Viviamo in un mondo super competitivo, in cui gli adolescenti sono bombardati da una moltitudine di informazioni e una quantità enorme di stimoli. Una corsa continua verso la perfezione, che li costringe al tutto e subito, a dare sempre il massimo nel minor tempo possibile.

Qual è il risultato di questi ritmi forsennati? Chi non riesce a stare al passo, viene considerato, o peggio si considera inadeguato, sviluppando una corazza di insicurezze e scarsa autostima. Un circolo vizioso che in alcuni casi può portare a gettare completamente la spugna, a rimanere al punto di partenza arenandosi nel nulla fare più totale.

Il teen coach non è uno psicologo perché non tratta un malessere mentale, ma è più una figura di orientamento, analisi supporto e training comportamentale su tre temi caldi del periodo adolescenziale:

#1 Formazione dell’identità.

#2 Il relazionarsi con i propri pari.

#3 Avere un progetto di vita.

Il problema sta anche nel fatto che i genitori al giorno d’oggi non riescono più a trovare un modello educativo, dato che quello fatto di regole e imposizioni non funziona più. «Ci sono adolescenti che smettono di studiare, fare sport, a cui interessa solo uscire con gli amici, che vedono impegno e fatica come un ostacolo»

Il teen coach è orientato al metodo definito coaching umanistico, percorso in cui si lavora sulla potenzialità, dall’interno verso l’esterno. Il training invece normalmente è fondante sul concetto di performance, va in direzione inversa, dando per scontato che l’adolescente abbia un obiettivo già prefissato e dunque insegna come raggiungerlo.

Il ragazzo, nel percorso di teen coaching, viene concretamente aiutato a formarsi un’identità positiva, sviluppare la capacità decisionale, allenare le proprie potenzialità ma soprattutto a scoprirle e metterle in luce, affrontando le paure e definendo una propria filosofia di vita.

Da un tratto articolo Prof. Galimberti:

Anche la scuola ha perso i suoi scopi fondamentali: è diventata luogo di apprendimento-istruzione più che di educazione: i contenuti intellettuali – come ci insegna Platone – passano attraverso categorie emotive. Qui passa la differenza tra istruzione ed educazione, i sentimenti si acquisiscono come le nozioni, si imparano: il luogo privilegiato per insegnarli è la letteratura che ci dà i paradigmi per collocare i nostri stati d’animo – l’amore, il dolore, la noia, l’amicizia ecc.

I ragazzi, interrogati sul perché stanno male non sanno nemmeno nominare il luogo del loro disagio e qui subentra la disperazione. Manca alla scuola di oggi una buona educazione sentimentale.

Viviamo in una cultura che ha aumentato in modo esponenziale i livelli di comunicazione, accade però che non abbiamo più niente da dire. Diciamo ciò che abbiamo sentito dire da altri, per questo io parlo di ’monologo collettivo’. Questi ragazzi, un po’ afasici, a cui manca il linguaggio e a cui mancano i luoghi di socializzazione come gli oratori o le sezioni di partito com’era più frequente un tempo, si ritrovano per strada o al bar, dove bevono, si alcolizzano o si drogano: della droga mi colpisce prima ancora dell’aspetto medico-clinico il suo essere una sorta di “anestesia”, di isolamento dal mondo. Vivono di notte perché il giorno li sconfigge. Io sono convinto che rispetto alla condizione giovanile – che nessuno prende in seria considerazione – è un po’ come se fossimo seduti su di una bomba pronta ad esplodere.

Una volta gli uomini per sapere qualcosa del mondo uscivano di casa, oggi rientrano in casa e si mettono davanti allo schermo, dove tutto è allestito per presentare le cose in un certo modo, da un certo punto di vista. Il dramma consiste nel fatto di non disporne di altri.

Passano solo messaggi negativi, a cominciare dai luoghi di lavoro che una volta erano ambienti di solidarietà e oggi invece soprattutto di invidia, di stress e di competizione, anche in relazione alla crisi economica.

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