ENGAGEMENT

ENGAGEMENT

ENGAGEMENT

Intervista a Marzio Zanato by Veronica Fedato laureanda in Management delle Risorse Umane Università Cà Foscari VENEZIA

Il punto di vista dell’esperto; l’intervista con Marzio Zanato

Ho avuto il piacere di conoscere Marzio Zanato, un grande professionista nell’ambito delle risorse umane con esperienza decennale come HR, Trainer e Coach in ambito Organizzativo.

Ho innanzitutto chiesto a Marzio, se poteva dare una panoramica generale del livello di engagement delle aziende italiane, secondo la sua esperienza.

Per quanto riguarda il mercato italiano, Engagement è ancora un concetto molto astratto, spesso ci si limita a copiare dei modelli proposti da altre aziende, non ottenendo di fatto un vero ingaggio e inoltre, neanche l’implemento di sistemi di welfare ha ottenuto grandi risultati a livello di ingaggio delle risorse.  Per quelle aziende invece che sono entrate a far parte di grandi gruppi, i quali hanno già all’interno della loro policy e della loro vision l’idea di ingaggio delle risorse, le cose funzionano diversamente e più efficacemente; grazie soprattutto a quei sistemi quali quello di MBO che attua un orientamento delle persone, ingaggiandole attraverso  degli obiettivi di performance che vengono condivisi.

Perché nelle aziende italiane i sistemi di engagement sono così poco utilizzati e sviluppati?

Senza esitazione Zanato ha risposto che si tratta di un fatto culturale, l’Italia ha una cultura molto direttiva, cattedratica fondata sul fatto che ci sia qualcuno che decide che cosa fare e lo impartisca con delle direttive.  Al contrario ad esempio di quello che è il modello anglosassone, il quale adotta un sistema critico, che si basa sul perché si stia facendo una determinata cosa, che strumenti servano, sulla condivisione degli obiettivi e sulla proattività delle persone. I due modelli si differenziano soprattutto perché nel modello italiano c’è la cultura della situazione mentre in quello anglosassone c’è la cultura del metodo. Il modello giapponese ha invece una visione un po’ più filosofica, ovvero le aziende comunque mirano al profitto ma sono anche molto orientate all’idea di equilibrio e miglioramento continuo, soprattutto delle risorse umane, sono infatti esse che trovano il modo di migliorarsi all’interno dell’organizzazione. Il concetto di responsabilità cambia diametralmente; nel modello direttivo italiano, si tende spesso a confondere la responsabilità con la colpa, ma Marzio conclude dicendo che dove c’è responsabilità e performance c’è anche più ingaggio.

Cos’è fondamentale per ottenere un vero ingaggio?

Adottare un metodo basato sul lavoro di squadra, stabilire chi fa cosa, con le capacità, competenze e qualità personali che permettono alla risorsa di esprimere al meglio il valore che ha nel ruolo che gli è stato assegnato e soprattutto riuscire a passare dall’area del devo avere capacità, competenze e qualità personali all’area del voglio avere queste capacità, competenze e qualità per migliorare in autonomia e aumentare il mio valore. Per fare questo, è comunque necessario condividere dei KPI precisi che guidino la risorsa al miglioramento personale prima che al miglioramento dell’azienda; chiaramente se le risorse tendono a migliorare si sentiranno maggiormente ingaggiate ed è l’obiettivo anche dell’azienda avere delle risorse proattive che riescano a produrre valore in autonomia, entrando nella concezione di volere un miglioramento. Si rende quindi necessario fare un’analisi comportamentale e valoriale delle risorse per capire qual è il potenziale e quali sono le chiavi di motivazione per guidarle al miglioramento e all’ingaggio. Dai risultati ottenuti da quest’analisi fatta sulle singole risorse, si procede con la mappatura della squadra di lavoro e con lo stabilire, in base ai risultati ottenuti, i ruoli delle persone dove queste possano esprimere al meglio il loro potenziale, anche in base alle loro qualità personali. In fase di ricerca e selezione, un’analisi dell’adeguatezza, delle capacità e delle competenze è abbastanza facile, tramite il curriculum e a volte le referenze. Il sistema italiano guarda a come ci si possa adattare ad una certa situazione, al contrario di ciò che avviene nel modello anglosassone che si preoccupa di come si possa produrre ulteriore valore e quindi si meriti di stare in un determinato contesto organizzativo. Un altro aspetto molto importante da considerare nella mappatura dei team è il livello di individualismo delle persone, determinati ruoli richiedono determinate caratteristiche e qualità personali e caratteriali. Indubbiamente fattori culturali hanno fatto in modo che l’individualismo rimanesse ambizioso e non cooperativo e questo nella creazione di team potrebbe creare non pochi problemi.

Cos’è che fa rendere conto alla azienda di dover adottare un progetto di engagement?

Quando l’indicatore di performance del responsabile delle risorse umane drasticamente supera la soglia fisiologica che è il turnover, ovvero quante persone iniziano ad uscire dall’azienda, perché come evidenzia Zanato le persone non lasciano le aziende che vanno bene ma lasciano i manager che non sono in grado di gestire le risorse. Sicuramente il tasso di turnover è un buon campanello d’allarme che dovrebbe dare il via ad un’analisi di clima per cercare di orientare all’engagement.

Qual è l’obiettivo principale che le aziende si pongono quando decidono di attuare un progetto di engagement?

L’obiettivo dell’ingaggio delle risorse è sicuramente il miglioramento della performance. Un miglioramento che è possibile ottenere lavorando in gruppo, l’acronimo di team è infatti Together Everyone Achives More, l’organizzazione esiste perché l’uomo ha sentito il bisogno di mettersi insieme per realizzare qualcosa che altrimenti da solo non avrebbe potuto realizzare e l’imprenditore quando costituisce un’azienda deve tenerlo a mente, creando dei legami che si basino sulla fiducia l’un l’altro.

L’obiettivo di creare engagement è soddisfare quel requisito fondamentale implicitamente richiesto dal metodo di lavoro di squadra, ovvero il rapporto di fiducia che deve esistere tra persone.  All’interno di un’organizzazione ci sono infatti rapporti di fiducia basati sulla coerenza e credibilità della persona e capacità di gestire il proprio carisma e stato d’animo che influenza le relazioni. L’engagement va anche ad analizzare la qualità delle relazioni all’interno dell’azienda.

Perché allora non tutte le aziende pongono quest’attenzione verso l’engagement?

Come già evidenziato prima, per il modello italiano il motivo principale è culturale. Inoltre, Zanato enfatizza come l’italiano abbia un livello di individualismo ambizioso e non cooperativo che è molto alto. Gli italiani si sentono più ingaggiati in quelle organizzazioni di volontariato, che riescono a soddisfare quel bisogno di sentirsi accolti e coinvolti. Più le persone sentono il bisogno di sentirsi accolti e coinvolti più questi saranno orientati alla collaborazione, ma se nella popolazione ci sono tante persone guidate dall’individualismo, dai risultati e dall’ambizione rischiano di lavorano per conto loro nell’organizzazione, non promuovendo la collaborazione. Lo scoglio da superare è quello di rimuovere una cultura dell’analisi delle persone e dei loro tratti comportamentali e loro valori. Ciò, d’altra parte comporta per l’azienda il mettersi in discussione, fare ad esempio un’analisi di clima può portare alla luce verità non facili da affrontare e da ricevere per l’imprenditore. Un altro ostacolo è dato dal modo in cui si comunica, la maggior parte delle aziende sa benissimo spiegare che cosa fa ma non riesce ad ispirare e comunicare con la propria visione il perché lo fa. L’ingaggio si crea anche quando c’è una condivisione dei perché, comunicare dall’interno verso l’esterno; il passaggio deve essere perché, come, cosa e non viceversa. Non è però semplice farlo capire alle aziende; si prediligono spesso investimenti che riguardano la capacità produttiva e quando si parla di risorse umane si è invece sempre attenti ai costi. Gestire le risorse umane significa, catturare valore, avere un ritorno di investimento, misurare, capacità che troppe poche aziende possiedono.

Ci sono stati dei progetti che nel corso della sua esperienza sono falliti? Come mai?


Sì, ci sono stati dei progetti che sono stati avviati e non terminati perché non è stata data la continuità di cui necessitavano, a causa di un mancato coinvolgimento dei vertici. La grossa difficoltà dei progetti, anche di quei progetti che sono condivisi e misurati, è che non sono persuasione ma convincimento perché si basano su analisi di dati oggettivi; essi non trovano l’orientamento a proseguire ma si arenano per delle particolarità dell’imprenditore, data la difficoltà, molto spesso di mettersi in discussione.

C’è la sensazione che se ne parli tanto di engagement ma se ne faccia poco…

Si è vero, e quel poco, si fa dove c’è una sensibilità del responsabile risorse umane, che è molto più orientato allo sviluppo delle persone. Purtroppo, sono tante le aziende dove il responsabile risorse umane è mero esecutore amministrativo, il quale gestisce le risorse solo dal punto di vista amministrativo e non dello sviluppo. Le aziende italiane dovrebbero pertanto dotarsi di entrambe queste figure, un responsabile amministrativo e uno che curi lo sviluppo. Non è sempre scontato che un responsabile risorse umane riesca a definire un chiaro obiettivo di performance, spesso ci si affida a degli obiettivi funzionali ai macro-obiettivi dell’azienda, come l’aumento del fatturato ma non si stabilisce come dal punto di vista tattico le risorse possano orientarsi ad un obiettivo di risultato.

Che cos’è fondamentale affinché un progetto d’engagement funzioni bene?

Definire in profondità il concetto di metodo di lavoro di squadra; non si può parlare di engagement se non c’è una consapevolezza di che cosa significa lavorare in squadra. Ciò significa innanzitutto definire chi fa cosa, stabilire quindi un organigramma, che permette una definizione chiara di quali sono i confini di una determinata attività e ruolo; stabilire competenze, capacità e qualità personali adeguate, riuscendo a capire il potenziale aziendale e il potenziale numero di persone che passeranno dall’area del devo sapere al voglio sapere. Concludendo, per parlare di engagement è necessario adottare un metodo di lavoro di squadra, scomporlo, comprendere chi fa cosa, rispetto, fiducia e responsabilità. 

Leave a comment

Name
E-mail
Website
Comment