Rituale e gruppo sociale : HAKA

Rituale e gruppo sociale : HAKA

Rituale e gruppo sociale : HAKA

Una società [totemica] è divisa in un certo numero di gruppi che portano il nome di piante o di animali (alcuni, di oggetti inanimati); tutti i membri di ogni gruppo si considerano come uniti da un legame di parentela stretta agli oggetti che servono loro da nome collettivo. Questi sono in breve i caratteri esteriori del totemismo.

Un totem, in effetti, non è soltanto un nome; è innanzitutto e soprattutto un principio religioso che non fa che uno con l’individuo in cui risiede, che fa parte della sua personalità. Il principio essenziale di questo sistema religioso è che l’uomo e l’animale che gli serve da totem sono uniti da una stretta parentela. Non solo: in realtà c’è tra di essi una vera identità sostanziale. L’animale è del clan come l’uomo che porta il suo nome è della specie animale. Ora, è una regola generale che i membri di un medesimo clan sono tenuti a rispettare reciprocamente le proprie vite … Di conseguenza, a partire dal momento in cui l’animale è stato concepito come fatto della medesima sostanza dell’uomo, appartenente allo stesso gruppo sociale, gli deve essere evidentemente interdetto di ucciderlo. In generale, non c’è dubbio che una società ha tutto ciò che serve per risvegliare negli spiriti, attraverso la sola azione che esercita su di essi, la sensazione del divino; perché essa è agli occhi dei suoi membri quel che un dio è per i suoi fedeli.

Il potere che [la società] esercita sulle coscienze ha meno a che vedere con la supremazia fisica di cui essa dispone che all’autorità morale di cui è investita. Se noi non disobbediamo ai suoi ordini, non è solo perché essa si è armata per trionfare contro ogni resistenza, ma anzitutto perché essa è l’oggetto di un vero e proprio rispetto. Un dio non è solo una autorità da cui dipendiamo; è anche una forza sulla quale si appoggia la nostra forza. L’uomo che ha obbedito al suo dio e che, per questa ragione, crede di averlo dalla sua parte, affronta il mondo con fiducia e con il sentimento di una energia accresciuta. Allo stesso modo, l’azione sociale non si limita a pretendere da noi dei sacrifici, delle privazioni e degli sforzi. Perché la forza collettiva non è affatto esteriore a noi; essa non ci muove affatto dal di fuori; ma, dato che la società non può esistere che nelle coscienze individuali e attraverso di esse, è necessario che essa penetri e si organizzi in noi; essa diviene così parte integrante del nostro essere e perciò stesso lo può elevare e ingrandire.

In una assemblea che si riscalda di una passione comune, diventiamo capaci di sentimenti e di atti di cui non siamo capaci quando siamo ridotti alle sole nostre forze; e quando l’assemblea è sciolta, quando, ritrovandoci soli, torniamo al nostro livello ordinario, possiamo misurare allora tutta l’altezza a cui siamo stati precedentemente trasportati al di sopra di noi stessi.

L’uomo che fa il suo dovere trova, in qualsiasi manifestazione in cui si esprimono la simpatia, la stima, l’affetto che i suoi simili provano per lui, una impressione di conforto, di cui spesso non si rende conto, ma che lo sostiene. La considerazione che la società ha di lui rialza la considerazione che egli ha di se stesso. Entrando in armonia morale con i suoi contemporanei, egli ha più fiducia, più coraggio, più audacia nell’azione, esattamente come il fedele che crede di sentire gli sguardi del proprio dio voltati verso di lui. Si produce in questo modo un sostegno continuo del nostro essere morale.

L’ambiente in cui viviamo ci appare popolato di forze allo stesso tempo imperative e caritatevoli, altere e benvolenti, con le quali ci troviamo in rapporto. Dal momento che esse esercitano su di noi una pressione di cui siamo consapevoli, le localizziamo fuori di noi, come facciamo con le altre cause oggettive delle nostre sensazioni. “Ma d’altra parte i sentimenti che esse ci ispirano sono di natura diversa da quelli che abbiamo per le cose sensibili. In quanto queste ultime sono ridotte ai loro caratteri empirici come si manifestano nell’esperienza quotidiana, in quanto nessuna immaginazione religiosa li ha trasformati, noi non nutriamo per esse nulla che somigli a una forma di rispetto ed esse non ci forniscono nulla che possa elevarci al di sopra di noi stessi. Le rappresentazioni che le esprimono ci appaiono dunque molto diverse da quelle che risvegliano in noi le influenze collettive. Le une e le altre formano nella nostra coscienza due cerchie di stati mentali, distinti e separati, come le due forme di vita a cui corrispondono.

La vita delle società australiane passa alternativamente attraverso due fasi diverse. A volte la popolazione si trova dispersa in piccoli gruppi che, indipendentemente gli uni dagli altri, attendono alle loro occupazioni; ogni famiglia vive allora per conto proprio, cacciando, pescando, ovvero in una parola cercando con ogni mezzo di procurarsi il cibo indispensabile. A volte, al contrario, la popolazione si concentra e si condensa, per un periodo che varia da alcuni giorni ad alcuni mesi, in certi luoghi determinati. Questa concentrazione ha luogo quando un clan o una porzione di tribù viene convocata dalle sue sedi, e in questa occasione si celebra una cerimonia religiosa, ovvero si tiene quello che nel linguaggio degli etnografi chiamiamo un “corrobbori”.

Ora, il semplice fatto dell’agglomerazione agisce come un eccitante eccezionalmente potente. Una volta che gli individui sono riuniti si scatena dal loro ravvicinamento una specie di elettricità che li trasporta presto a un grado straordinario di esaltazione. Ogni sentimento espresso viene risentito, senza resistenza, in tutte le coscienze ampiamente aperte alle impressioni esterne: ognuna di esse fa eco alle altre e reciprocamente. L’impulso iniziale va così amplificandosi mano a mano che si riverbera, come una valanga che si ingrandisce a mano a mano che avanza. E dato che delle passioni così vive e affrancate da ogni controllo non possono non espandersi all’esterno, dappertutto vi sono gesti violenti, grida, veri e propri urli, rumori assordanti di ogni tipo che contribuiscono ad intensificare ancora di più lo stato che manifestano.

Si comprende facilmente che, giunto a un tale stato di esaltazione, l’uomo non si conosce più. Sentendosi dominato, trascinato da una sorta di potere esterno che lo fa pensare e agire diversamente che nei tempi normali, egli ha naturalmente l’impressione di non essere più se stesso. Gli sembra di essere diventato un essere nuovo: le decorazioni di cui si agghinda, le maschere con le quali si ricopre il viso esprimono materialmente questa trasformazione interiore, più ancora di quanto non contribuiscano a determinarla. E dal momento che nello stesso tempo tutti i suoi compagni si sentono trasfigurati allo stesso modo e traducono il proprio sentire in grida, gesti ed atteggiamenti, tutto accade come se venissero davvero trasportati in un mondo speciale, completamente diverso da quello in cui vivono di solito, in un ambiente popolato di forze eccezionalmente intense, che lo invadono e lo trasformano.

https://www.youtube.com/watch?v=0C434QFTjok

Come potrebbero delle esperienze del genere, soprattutto ripetute per settimane intere, non lasciare la convinzione che esistono effettivamente due mondi eterogenei e incomparabili tra loro? Uno è il mondo in cui si trascina lentamente la vita quotidiana; al contrario, non si può entrare nell’altro senza entrare in rapporto con delle potenze straordinarie che galvanizzano fino alla frenesia. Il primo è il mondo profano, il secondo, quello delle cose sacre. È grazie a questa duplice natura che la religione ha potuto costituire la matrice in cui si sono elaborati tutti i principali germi della civiltà umana. Dato che in essa si trova avviluppata la realtà nella sua interezza, tanto l’universo fisico quanto quello morale, tanto le forze che muovono i corpi quanto quelle che conducono gli spriti sono stato concepite sotto forma religiosa. Ecco come le tecniche e le pratiche le più diverse, quelle che assicurano il funzionamento della vita morale (diritto, morale, belle arti) e quelle che servono alla vita materiale (scienze della natura, tecniche, industrali), sono, direttamente o indirettamente, derivate dalla religione.

La forza religiosa non è altro che il sentimento che la collettività ispira ai propri membri, ma proiettato fuori dalle coscienze che lo provano, e oggettivato. Per oggettivarsi, infatti, esso si fissa su un oggetto che diviene così sacro.

Émile Durkheim, Les formes élémentaires de la vie religieuse.

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